Direttore Generale Ducci “Pochi i Club con una proprietà unifamiliare”.
Piero Ducci, Direttore Generale dell’Ascoli Calcio, ha fatto un bilancio della stagione analizzando alcuni aspetti come il salary cap e l’importanza di un maggiore coinvolgimento delle forze economiche a sostegno delle proprietà unifamiliari: “Sono pochissimi i Club che possono vantare una proprietà unifamiliare. Per società come l’Ascoli la soluzione è l’autofinanziamento”.
Questa l’intervista rilasciata per il magazine bianconero PASSIONE ASCOLI di maggio.
La salvezza ottenuta dall’Ascoli è stata un traguardo straordinario per come si erano messe le cose. Che sensazioni ha provato a obiettivo raggiunto?
“Sensazioni difficili da capire per chi non ha vissuto come me dall’inizio l’esperienza Ascoli. Ho cominciato la mia avventura in bianconero in modo inaspettato, non pensavo che avrei intrapreso un nuovo percorso professionale, di solito sono sempre rimasto fedele a lungo al club per il quale ho lavorato, la mia permanenza di 27 anni al Milan lo testimonia. Ero in Serie A, alla Fiorentina, pensavo di restare lì a lungo e invece con l’Ascoli ho iniziato una nuova scommessa, mi sono misurato con un campionato diverso, con tante corazzate ai nastri di partenza. E questo ha dato ancora maggiore valore alla salvezza, una impresa doppia”
Al suo arrivo in bianconero quali erano gli aspetti da curare con urgenza
“Le priorità erano la ricostruzione della squadra e improntare la programmazione. C’era in embrione un progetto di società e di squadra che andava portato avanti in tutti i settori, andava organizzata la società e condotta in maniera corretta nei flussi operativi. L’aspetto più complicato era pensare un progetto che desse una nuova identità a un Ascoli che fino a quel momento aveva vissuto di prestiti. La stagione 2019/20 si era conclusa con una squadra costituita per 8/11 da prestiti, non c’era un tesoretto da poter prevedere, andavano quindi gettate basi concrete e messe in atto delle idee. Ricordo un inizio difficilissimo fra entrate e uscite, oltre alla difficoltà di poter mettere in atto i progetti a causa del Covid”.
Quanto ha pesato aver dovuto adeguare tutte le funzioni interne ai protocolli anti Covid per garantire la continuità del sistema calcio?
“L’Ascoli ha affrontato da subito il problema Covid con calciatori che erano risultati positivi ancor prima di unirsi al team per il ritiro precampionato. Strada facendo abbiamo dovuto fare i conti con un focolaio all’interno del gruppo squadra, ma col senno di poi dico che questa è stata una fortuna perché, se è vero che il percorso iniziale è stato ancor più difficile, è anche vero che dopo non abbiamo più avuto positività nel gruppo. Forse è stato un bene. Siamo stati una Società che sul piano organizzativo ha mostrato grandissima efficienza e professionalità sotto tutti i punti di vista, penso che poche società hanno avuto uguali risultati, anche nel settore giovanile siamo stati di grandissima affidabilità sotto questo aspetto, non era facile. Abbiamo lavorato sia preventivamente, estendendo i tamponi anche al personale della sede, sia sul campo, applicando alla lettera i protocolli”.
Ha sempre creduto che l’Ascoli avrebbe conservato la categoria?
“Ho sempre creduto nei valori tecnici e morali di questa squadra, sapevo da uomo di calcio che c’erano delle deficienze che andavano colmate a gennaio, d’altra parte il percorso iniziale era stato tracciato velocemente. L’aver centrato finalmente l’allenatore è stato fondamentale. Il tecnico ha avuto grandissimo merito, col contributo straordinario di Polito nello spogliatoio. Serviva un front line che fosse diverso dal mio profilo, perché in una società ognuno deve avere il proprio ruolo, non si può essere uomini soli al comando. Oggi le società che funzionano bene sono quelle organizzate bene. Non è un caso se quando ci siamo organizzati sono venuti anche i risultati”.
Patron Pulcinelli ha chiesto maggior coinvolgimento alle forze economiche del territorio.
“Il calcio è un’impresa e deve essere il risultato di forze sinergiche, è finito il calcio dei Berlusconi o degli Agnelli, insomma quello sostenuto da singole famiglie. Non è un caso se le grandi aziende calcistiche sono gestiti da fondi, molto spesso stranieri. La politica del calcio è spietata in tutto il mondo, sono pochissimi i Club che possono fregiarsi della titolarità di un solo proprietario. A fronte di questo, la gestione economica del calcio è diventata un’ardua impresa, se non si interverrà con idee innovative e non verrà dato un freno al tetto degli ingaggi sarà un problema”.
In questi giorni si è tornato a parlare del salary cap.
“Il problema non sono i campioni, ci sta pagare tanto uno come Mbappé o Cristiano Ronaldo, ma se questo deve elevare il salario medio degli altri calciatori non va bene perché a sballare è tutto il sistema. Bisogna bilanciare i costi in base alle entrate. Il calcio in questo non ha un pensiero ancora evoluto, queste cose sono state applicate solo negli Stati Uniti, il salary cap c’è nell’NBA ad esempio; lì è possibile effettuare un taglio, le tutele sono minori, ma il taglio è possibile. Ho vissuto l’esperienza della Premier League, che è un esempio per tutti. La Championship, l’equivalente della Serie B, ha tre categorie di differenza col campionato cadetto italiano. Mi spiego meglio: nella Premier una squadra che sale dalla Championship può uscirne indenne salvandosi. In Italia chi viene promosso in A ha un gap troppo grande con le squadre di massima serie e, a parte rare eccezioni, retrocede subito. Per un club piccolo è difficile se non impossibile rimanere a lungo nel massimo livello”.
E’ per mancanza di misure di sostegno che i top club europei hanno provato a mettere in piedi la Superlega? Che idea si è fatto?
“Della Superlega sentivo parlare 15 anni fa nel Milan di Berlusconi, si prospettava un grande campionato europeo. Penso che il costo medio dei top club risenta della mancanza di entrate. Una volta c’erano il Real di Florentino Perez, l’Inter di Moratti, il Milan di Berlusconi, il Barcellona con l’azionariato popolare, il Bayern, la Juve di Agnelli, tutti club che erano così certi delle loro grandi entrate che potevano permettersi qualunque cosa. Oggi il marketing delle società sta diventando insufficiente per la copertura degli ingaggi dei giocatori”.
In questo una società piccola come l’Ascoli cosa deve fare per il proprio sostentamento?
“L’Ascoli si deve autofinanziare attraverso le plusvalenze, un discorso iniziato quest’anno e che può dare frutti non prima di due o tre anni. Quest’anno si sono gettate le basi, è stato l’anno zero. Ora c’è una base da cui si può ripartite e che va ampliata e consolidata. Per fare la politica delle plusvalenze bisogna avere equilibrio, soprattutto nei momenti difficili. A inizio anno condivisi con Pulcinelli questo pensiero e devo dire che è stato fatto un lavoro grandissimo di team senza il quale non si sarebbe potuto raggiungere l’obiettivo. Oggi la società è efficiente, con figure e ruoli professionali ben definiti, una startup. Sicuramente si può migliorare, ma la base è stata tracciata”.
Magazine PASSIONE ASCOLI